BELLEZZA, ADDIO

BELLEZZA, ADDIO
di Carmen Giardina, Massimiliano Palmese
Italia 2023, 78′

Il ritratto di un poeta “maledetto” del secondo Novecento, Dario Bellezza, inquieto protagonista di una stagione culturale di grande splendore, tra Sandro Penna, Alberto Moravia, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Pier Paolo Pasolini. Omosessuale provocatorio e controverso, davanti alla qualifica di “maledetto” rispondeva «ma benedetto dalle Muse», col suo spirito polemico e irriverente.

CAST E CREDITS
un film di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese
interpreti: Barbara Alberti, Antonella Amendola, Ulisse Benedetti, Franco Cordelli, Ninetto Davoli, Giuseppe Garrera, Maurizio Gregorini, Fiammetta Jori, Renzo Paris, Elio Pecora, Paco Reconti, Nichi Vendola.
prodotto da Rino Sciarretta
soggetto: Massimiliano Palmese
sceneggiatura: Massimiliano Palmese e Carmen Giardina
montaggio: Andrea Campajola
fotografia: Andrea Josè Di Pasquale
musiche: Pivio & Aldo De Scalzi
suono in presa diretta: Biagio Gurrieri
mix: Stefano Di Fiore
correzione colore: Andrea Maguolo
consulenza letteraria: Marco Beltrame
foto di scena: Dino Ignani
voce narrante: Marco Quaglia
una produzione Zivago Film e Luce Cinecittà con il contributo della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo – MiC

 

 

NOTE DELLA REGISTA CARMEN GIARDINA

Io sono stata un’adolescente affamata di poesia. La prima folgorazione fu per Arthur Rimbaud, tradotto in Italia da Dario Bellezza, un poeta e scrittore che allora non conoscevo. Leggendo oggi i suoi romanzi, fortemente autobiografici, sono stata colpita da un episodio di “Nozze col diavolo”: il protagonista ha due anni o poco più, è al mare con la madre (figura che il poeta ricercherà in modo a volte ossessivo nelle amiche Amelia Rosselli, Elsa Morante, Anna Maria Ortese). Mentre si trova in acqua tra le braccia della donna, il bambino scivola via da quell’abbraccio e le onde lo travolgono. Il ricordo di quei momenti è drammatico, il bambino sta per affogare. Qualcuno lo afferra per i piedi, tirandolo fuori dall’acqua prima che avvenga il peggio, ma la paura che la madre lo abbia abbandonato, e quella terribile sensazione di morte diventeranno un incubo ricorrente nella sua vita, segnandola indelebilmente. “Io vivo in una dimensione materna, non sono uno che cresce e diventa adulto, non cresco alla virilità”.
Questo breve racconto costituisce il “prologo” del film, lo attraversa e illumina, in una circolarità sinistra di presagio, fino al finale. Provocatore, talentuoso, maledetto, sicuramente una personalità fuori misura, Dario Bellezza è stato detestato, ma anche molto amato. Nel film, poeti, scrittori e amici di Dario danno un prezioso e affettuoso contributo non solo con le testimonianze personali, ma anche con un confronto a distanza sullo stato di salute della poesia, permettendo di allargare lo sguardo dal mero racconto biografico ad un orizzonte più ampio. Ancora una volta, la collaborazione con Pivio e Aldo De Scalzi è stata per me basilare, la colonna sonora è uno dei pilastri su cui è costruita l’architettura del film. Una musica che non si nasconde, anzi, diventa quasi un personaggio in più, spaziando dall’elettronica al lirismo dei brani orchestrali. Io sono stata un’adolescente affamata di poesia, e oggi? Chissà che Bellezza, addio non spinga qualcuno a leggere i versi di Dario… Di poesia abbiamo sempre bisogno.

Bellezza Addio manifesto film

COSÌ LA STAMPA

Il Manifesto – ALIAS
Dove è finita oggi la poesia. Incontro – Carmen Giardina parla del suo film su Dario Bellezza. Non è soltanto il ritratto di un poeta, ma anche una riflessione su quello che abbiamo perduto.
di Alessandra Vanzi


Il Manifesto – ALIAS
Bellezza, Addio. Un provocatorio, tenero, suadente protagonista. Non celebrazione, ma appassionante e commovente sarabanda, un congedo polifonico da un’artista e da un’epoca.
di Andrea Pastor


IL VENERDI’ di Repubblica
IL GRANDE BELLEZZA. Poeta, pioniere (per poco) del movimento gay, protagonista d’una roma scomparsa, personaggio da talk show. Oggi Dario Bellezza rivive in un nuovo documentario. E nei ricordi di chi gli ha voluto bene.
di Alberto Piccinini

ROMA. Dario Bellezza era il “Rimbaud di Monteverde”. Il soprannome gliel’aveva dato la comunità letteraria romana che l’aveva accettato ventenne alla fine dei Sessanta: Moravia, Sandro Penna, i suoi amici e coetanei Franco Cordelli, Renzo Paris, Elio Pecora. L’amica/nemica Elsa Morante. Pasolini che nel 1971 lo laurea poeta «migliore della sua generazione». Amelia Rosselli gli affitta una stanza di casa sua davanti a ponte Sisto quando lui, omosessuale dichiarato, scappa via dai suoi. Per Enzo Siciliano è l’“upupa” perché veste sempre di scuro – giacche, maglioni, occhiali – e ha un gran ciuffo di capelli scuri alla Little Tony. Gli trovano qualcosa da fare e da scrivere: per qualche anno è il “segretario di Pier Paolo”, anche se col candore di sempre Ninetto Davoli dice oggi che il ruolo gli fu attribuito per non offenderlo coi prestiti continui. Compaiono assieme nel Decameron, Dario è il sacrestano ladro di tombe. E articoli per giornali, riviste, finalmente (per Garzanti, nel 1977) la traduzione di Arthur Rimbaud, eletto tra le rockstar del tempo. 

I BACI E LE BOTTE
Ma il sarcasmo sembrava inevitabile, romano come i sampietrini e il mercato di Campo de’ Fiori, uno dei suoi luoghi del cuore. «Dario voleva i baci e voleva le botte», dice oggi Barbara Alberti. «Erano anni in cui tutto veniva detto, come se la gola si fosse improvvisamente allargata» aggiunge il poeta Elio Pecora.«Ci telefonavamo quasi tutte le mattine, erano sempre pettegolezzi e maldicenze», ricorda Franco Cordelli. Ancora Barbara Alberti, che lo aveva accompagnato per gioco in qualche giro di battuage: «Parlava con tutti, e quando gli chiedevano il nome lui gridava: “Alberto Moravia!” o qualche altro scrittore famoso. Ha mandato a battere tutta la letteratura italiana!». Le voci appassionate e a tratti commosse di Alberti, Pecora, Cordelli, Davoli – e molte altre – compongono da sole il racconto di Bellezza, addio, il documentario prodotto da Zivago Film e Luce Cinecittà (in anteprima al Pesaro Film Festival il 20 giugno) che cerca di riportare l’attenzione sul poeta romano prima che quel volto rotondo con gli occhiali grandi e il foularino annodato al collo sparisca dalla memoria dei telespettatori che lo ricordano almeno star minore dei talk show anni 90.

FUORI CATALOGO
Proprio la vecchia edizione Garzanti Libri di Lettere da Sodoma, fuori catalogo come quasi tutto di Bellezza, ricompare nel documentario tra le mani di Nichi Vendola, intervistato in quel che resta dell’Alibi, una delle storiche discoteche gay di Roma, oggi abbandonata. «Un libro che ha aiutato molte persone come me a dichiararsi», ricorda l’ex presidente della Regione Puglia. Immagini di repertorio mostrano lo stesso locale quasi trent’anni fa, quando la comunità si era mobilitata perché al poeta, malato di Aids, fosse concesso il sostegno della legge Bacchelli. Rivediamo un giovane Vendola lodare la limpidezza dei suoi versi. E Massimo Consoli, anche lui scomparso (nel 2007): era stato uno dei fondatori del movimento Lgbt italiano assieme a Bellezza nella sua fase più militante, quando le riunioni del Fronte nazionale di Liberazione omosessuale si tenevano nella sua casa in via dei Pettinari, vicino a Campo de’ Fiori. «Omosessuali di tutto il mondo unitevi», proclamava sulla rivista Ompo’s. Ma durò poco. Ebbe la meglio un’abissale, decadente nostalgia («A Campo de’ Fiori mi trascino giovane vecchio rinserrato in troppo pesanti giacche», scrive nel 1976). 

Con il suo ordinato montaggio di repertori RAI, testimonianze mai banali, fugaci cartoline della Roma contemporanea, Bellezza, addio è anche un’impietosa riflessione visiva sul tempo perduto. Tra gli intervistati lo studioso e collezionista Giuseppe Garrera, che ha preso in consegna l’archivio del poeta, ricorda come già in occasione dei Mondiali del ‘90 una nuova illuminazione «cancellò la Roma buia che aveva accolto i fuggitivi dalla città di Sodoma». Lucente di lampioni alogeni e color correction, oppressa dal mito della Grande Bellezza (evocata nella bellissima camminata finale del poeta sulla sponda del Tevere, girata per un corto nel 1984 dal regista sperimentale Franco Brocani), la città oggi ha definitivamente cancellato la memoria dei luoghi in cui visse Dario Bellezza (paradosso dei nomi). In quello stesso anno Bellezza manda i primi lavori a Siciliano, alla rivista Nuovi argomenti». Bellezza fece di tutto per non cedere al pietismo della malattia. Continuò ad andare in tv, forte di una certa romanità d’antan che a Costanzo era cara, la stessa verve sarcastica con la quale partecipava ad altri salotti televisivi di allora, tra Mara Venier e Vittorio Sgarbi, o al talk show dell’amica Marta Marzotto sulla privata Gbr. Lo si vedeva pure in certe trasmissioni culturali della Rai, ieratiche e dai colori sbiaditi. E, finalmente, in una leggendaria puntata di Mixer Cultura del 1988, quando diede ad Aldo Busi della «santa puttana che va in giro a vendere i suoi libri». «Tu sei stato esautorato dalla letteratura italiana!», gli gridava di rimando lo scrittore, ricco e fasciato da una bella giacca Armani. «Basta, Basta, porco mondo!» sbottava il conduttore Arnaldo Bagnasco.

UN BERSAGLIO FACILE 
Registrata in anticipo, la trasmissione che sarebbe diventata uno dei testi fondanti del moderno scazzo tv, era stata “bippata” ma non completamente ripulita dalle parolacce. Bellezza era seduto tra il pubblico, bersaglio facile, uno sconfitto abitato soltanto dalla sua «passione di esistere» come dice oggi il suo amico Elio Pecora. E Barbara Alberti ricorda come Dario avesse in sé non solo lo scandalo ma anche «il ridicolo della poesia». Porta in soccorso un verso di Rimbaud: «Par delicatesse, j’ai perdu ma vie». D’altra parte i conti con la modernità Bellezza li aveva già fatti nel 1978 affrontando il pubblico del leggendario festival di Castelporziano. Recitava con la voce monocorde la sua inadeguatezza provinciale e «tutto il nulla di cui sono capace» a un pubblico che aspettava Patti Smith. Gli gridavano: «Nudo! Nudo!». Rispondeva: «Fascisti stronzi», ma con una mitezza sovrumana, sotto un cappellino bianco da pescatore, un incrocio tra un fumetto e un personaggio di Carlo Verdone (che davvero tra Castelporziano, via dei Pettinari e Campo de’ Fiori copiò tre quarti delle sue maschere dell’epoca). Ironia crudele, a quei tempi Patti Smith era diventata la nuova sacerdotessa del culto di Rimbaud. «Giù le mani, stronza!», l’aveva avvisata Bellezza su una rivistina. Quella sera, attesissima, lei non si fece vedere, neppure a Monteverde.


IL SECOLO XIX
Da Braibanti a Bellezza racconto al cinema storie da non dimenticare.
Intervista a Carmen Giardina di Guglielmina Aureo


IL RESTO DEL CARLINO
Poesia, intellettuali e cinema. Dario Bellezza e la voglia di sognare.
Intervista a Carmen Giardina di Claudio Salvi